E’ più di una mostra fotografica: è un percorso emotivo che si dipana tra testi, immagini e suppellettili. E’ la preziosa documentazione in mostra permanente presso il Centro di Documentazione di Cansano (AQ) antico borgo dell’Abruzzo immerso nel verde del Parco Nazionale della Maiella. Il Centro di Documentazione, ubicato nella centrale Piazza XX Settembre, raccoglie i reperti provenienti dall’area archeologica di Ocriticum ed ospita, nel piano terra, la ricca collezione di immagini e di documenti legati all’emigrazione. Il materiale, raccolto con tenacia e professionalità nel corso degli anni, attraverso studi e ricerche, è stato donato al Centro di Documentazione dal Gen. C.A. della Guardia di Finanza Nino Di Paolo, originario di Cansano. Il fenomeno dell’emigrazione ha segnato in maniera indelebile la storia di Cansano e dell’Abruzzo. Lo spopolamento dei Comuni, soprattutto di quelli di montagna, dipese essenzialmente da fattori legati alla crisi della pastorizia ed il fallimento della politica di quotizzazione, disboscamento e dissodamento delle terre demaniali. Nelle campagne, invece, lo spopolamento fu causato principalmente dalla diffusione della malaria, dalla discesa dei salari giunti fino a 60-70 centesimi al giorno e dall’indebitamento dovuto anche alle intollerabili prestazioni annuali di tipo feudale che i contadini dovevano ai proprietari terrieri. Fu dunque la montagna a fornire i primi “volontari” all’emigrazione. Qui, infatti, la proprietà fondiaria, oltre ad essere poco produttiva a causa delle condizioni pedoclimatiche, era anche divisa in un enorme numero di piccoli appezzamenti. Alla scarsità dei raccolti si cercava di sopperire attraverso il ricorso alla migrazione stagionale verso il Tavoliere delle Puglie e l’Agro romano. Anche il sistema dei trasporti, oltre chiaramente alla posizione geografica, ha influenzato tanto le zone di partenza che quelle di arrivo. Gli abitanti dell’Abruzzo, quindi anche di Cansano, partivano da Napoli: la loro migrazione internazionale esplose quando il costo del viaggio in transatlantico toccò il minimo storico. L’America divenne pertanto più vicina dell’Europa, dato il maggior costo del biglietto ferroviario per raggiungere la Francia o la Germania. La scelta della destinazione dipendeva non solo dal costo del viaggio, ma anche e più spesso da quel fenomeno che venne definito come catena migratoria. Le lettere inviate a parenti ed amici da persone emigrate, rappresentavano il più facile strumento di persuasione; spesso con le stesse lettere arrivavano anche i soldi per il biglietto. Non solo, il rientro di un emigrante dopo anni di duro lavoro con qualche risparmio in tasca, generava un fortissimo sentimento di emulazione. E così da Cansano, come del resto da molti altri paesi del centro Abruzzo, numerose famiglie hanno lasciato la propria terra in cerca di fortuna. “Il Comune di Cansano è stato interessato da oltre 1500 partenze; il fenomeno è iniziato nei primi anni del ‘900 quando il paese aveva un carico demografico forse anche eccessivo: contava 1834 residenti nel 1911 e le condizioni di vita spesso erano insopportabili – racconta Mario Ciampaglione, Sindaco di Cansano-. Le abitazioni, piccole ed anguste davano ricetto a famiglie numerose. L’unica fonte di reddito era rappresentata dall’agricoltura e dal legnatico. Il disagio di questa situazione veniva ancor più accresciuto dalla consapevolezza della mancanza assoluta di qualsiasi prospettiva di miglioramento”. Il fenomeno dell’emigrazione, che assume rapidamente caratteri extra europei, appare a molti l’unica ancora di salvezza e diversi capi-famiglia, con i figli maggiori si avviano verso le Americhe. Al fenomeno migratorio, soprattutto alla migrazione verso l’America tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 è dedicata la sezione Emigrazione del Centro di Documentazione di Cansano. Un filo conduttore guida tutta l’esposizione costituita da immagini e soprattutto da documenti che seguono da vicino tutte le fasi del viaggio. Quel viaggio che più di ogni altra cosa è un viaggio dell’anima, perché fatto di sguardi, di gesti e di emozioni. E’ vero che interi scaffali di libri hanno esaminato e spiegato il complesso fenomeno migratorio, analizzandone le cause vicine e remote; la stessa letteratura ha raggiunto punte di estrema bellezza. C’è tuttavia una storia dell’emigrazione che non può essere racchiusa nei libri e che trova nello strumento fotografico e nella poesia il mezzo evocativo più autentico per farla rivivere. Così il Museo di Cansano, che conta oltre 500 foto e documenti, si pone al servizio del visitatore proprio per indurlo a riflettere sul dramma che ogni uomo, in quelle immagini e nella vita reale ha vissuto. Donne stremate dalla fame e dalla fatica, intere famiglie abbrutite dalla miseria, giovani pieni di entusiasmo e spinti dalla rabbia e dall’orgoglio a vivere una nuova vita: tutti, sguardo dopo sguardo, sono lì sulle pareti del museo. Dalla sezione del viaggio, alla nave come “casa” temporanea per interi paesi che si spostavano. Il viaggio durava oltre un mese, ed allora si stava tutti insieme, proprio come nelle case di Cansano, nello stesso posto, accomunati dagli stessi sentimenti: la nostalgia per la casa lasciata, il desiderio di vivere una nuova vita, la speranza di un futuro migliore, il timore di non farcela. La nave diventava per un mese, la casa, il posto dove dormire, mangiare e perchè no, trascorrere momenti di festa e di allegria. Una casa, compagna fidata nella lunga e lenta traversata dell’oceano, di quell’oceano che in molti vedevano per la prima volta, di cui avevano solo sentito parlare o che avevano trovato nelle lettere dei parenti, amici o fidanzati che li avevano preceduti. Ma una volta toccata la terra, cominciava la vera nuova vita. A questi momenti sono dedicate le immagini di Cansano. Ed ancora alla sofferenza, all’umiliazione subite all’arrivo ad Ellis Island quando il popolo migrante veniva obbligato a subire visite mediche e a test psicologici ideati dal Dott. Knox, ricostruiti ed esposti nel Museo, strumento utile al visitatore per comprendere da vicino anche la difficile prova cui venivano sottoposti i nostri compaesani quando, una volata sbarcati nella sognata America, venivano obbligati a compilare dei questionari e a rispondere a quesiti in lingua inglese: la loro ignoranza era spesso presa per incapacità di intendere e per questo venivano rimbarcati come malati di mente, spezzando brutalmente ed ingiustamente il sogno di una vita migliore. Non manca nel museo di Cansano la sezione dedicata alle malattie, alle diagnosi effettuate, alle visita mediche vere e proprie. A questa si affianca poi una carrellata di immagini legate ai mestieri, quegli antichi mestieri letteralmente traslati nella nuova terra o appresi sul posto: le donne continuavano a fare le sarte, a ricamare, a confezionare gli abiti, mentre gli uomini venivano occupati essenzialmente nel mondo dell’edilizia o in gran numero reclutati per lavorare nelle miniere. Sacrifici, sofferenze che poi, nel corso degli anni, hanno consentito un riscatto sociale a tutti coloro che erano stati spinti al grande passo dell’emigrazione proprio dalla fame e dall’indigenza. In moltissimi hanno vissuto una vita normale, in molti hanno avuto un esistenza tra gli agi, pochi, ma significativi hanno anche toccato l’olimpo della fama e del successo: al loro, è dedicato un angolo della sala espositiva accanto alle immagini che rievocano personaggi abruzzesi letterati, scrittori, che hanno lasciato un segno del mondo della storia, della cultura, della letteratura americana. A John Fante, originario di Torricella Peligna (CH), cui si devono opere come “Chiedi alla Polvere” o “Aspetta primavera Bandini”, oppure a Pascal D’Angelo, l’emigrante scrittore di Introdacqua(AQ) che nel suo celebre libro “Son of Italy” così descrisse la vittoria della poesia sulla dimenticanza dei lavoro di spaccapietre: “Ma il cozzare dei piccone e il tintinnare del badile chi lo sente? Solo lo sguardo austero del caposquadra si accorge di me. Quando scende la notte e il lavoro si ferma, badili e picconi restano muti e la mia opera è perduta, perduta per sempre. Se però scrivo dei bei versi, allora quando la notte scende e io poso la penna, la mia opera non andrà perduta. Resterà qui, dove oggi voi potete leggerla, come altri potranno leggerla domani.”ma alle immagini dell’emigrazione storica, si affiancano anche spunti di riflessione sul mondo contemporaneo. “Tradiremmo lo spirito di questa mostra - afferma il Gen. Di Paolo, se ci fermassimo solo alla mera rievocazione storica di fine ‘800, se non fossimo cioè capaci di cogliere un legame tra gli sguardi smarriti di un tempo e quelli di oggi. Confrontate alcune immagini del passato con quelle odierne a distanza di più di cento anni e vedrete come la storia si ripete! E tutto questo va fatto per non affievolire un dibattito su uno dei più complessi problemi della nostra storia contemporanea, che non appartiene solo all’Europa, che evoca nei fatti una sfida difficile, spesso drammatica. Ma vorrei riportare l’attenzione su Cansano: in questi anni mi è capitato spesso di ascoltare il rumore dei miei passi mentre, all’alba, riflettevo lungo le viuzze della parte antica del paese. Lontano dai clamori dei mondo e curiosando fra le case diroccate mi è parso di sentire, qualche volta, le grida degli ultimi emigranti che baciavano gli stipiti dei portoni abbandonati. Mi sono chiesto cosa avrei potuto fare per ridare voce a quei focolari spenti e a quelle stanze fredde dalle volte a botte. Ecco con il Museo di Cansano abbiamo ridato voce a quelle pietre”.